La voce del dottor Poghon riecheggia nel parco Tsavo: “Presto, facciamo presto”.

In un caldo pomeriggio di fine febbraio, Davide Gremmo, uno dei pochi ranger italiani, honorary warden, in Kenya, avvista una giraffa all’ombra di un’acacia tortilis. Si rende conto che è ferita a una zampa.

Nonostante il leone sia l’unico predatore in grado di avere la meglio su questo animale – soprattutto sui piccoli – si tratta di una specie in forte pericolo di estinzione. La causa principale, ancora una volta, è l’uomo che, con l’espansione rurale, riduce progressivamente il suo habitat. Tuttavia, una parte, certo non meno deplorevole, delle perdite è dovuta ai bracconieri: spesso, infatti, le giraffe restano vittime degli “snare”, lacci di ferro che feriscono gli animali alle zampe, provocando loro delle lacerazioni che portano a un’infezione spesso mortale.

Viene quindi avvertito il dottor Poghon, che con il suo team cerca di soccorrere e salvare gli animali che cadono in queste orribili trappole. Al suo arrivo, la giraffa si trova poco distante da dove Davide l’aveva avvistata. “Haraka, hebu haraka”, Veloci, dice in swahili il dottore, spronando i suoi a fare presto. Viene prima sedata con l’etorfina, un potente anestetico usato per i grandi mammiferi, per poi essere risvegliata con il revivon, che ha l’effetto di annullare la sedazione per poi far riprendere velocemente conoscenza all’animale. Gli aiutanti del dottor Poghon, nel frattempo le tolgono il “snare” dalla zampa e, dopo aver disinfettato la ferita, applicano un bendaggio composto da materiali naturali. La difficoltà maggiore, a questo punto, è far rialzare la giraffa, che con i suoi sei metri di altezza e oltre mille chilogrammi di peso, non è una cosa da poco. Dopo vari tentativi con funi che la cingono, tirate da un fuoristrada, l’animale si rimette sulle zampe e pian piano si allontana. Percorsi alcuni metri, si volta verso il veterinario e abbassa la testa.

Mi piace pensare che sia il suo modo di ringraziarlo, per averla salvata da una morte certa.

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